In dialogo con Papa Francesco
La gioia del Vangelo
di p. Edoardo Scognamiglio, Ofm Conv.
L’elicottero è atterrato puntualmente alle 15.45 di sabato 26 luglio presso la base militare dell’aeronautica di Caserta. Ad accogliere papa Francesco le diverse autorità civili e religiose: il sindaco di Caserta, il Comandante, il Vescovo, il Prefetto… Il tempo non prometteva bene: pioggia fitta e a tratti indecisa, cielo grigio e minaccioso. La presenza familiare, semplice e accogliente di papa Francesco ha rasserenato i cuori dei circa 110 sacerdoti della Diocesi di Caserta che hanno salutato il Vescovo di Roma. Papa Francesco è rimasto più di un’ora in compagnia dei sacerdoti che ha voluto salutare uno a uno, dispensando strette di mano, consigli pratici, sorrisi, sguardi stupiti, abbracci paterni, suggerimenti pastorali e non risparmiando battute. Giovani preti, anziani religiosi, curiali e pastori d’anime: tutti in fila per abbracciare papa Francesco e ricevere da lui parole di speranza e, soprattutto, tanto calore umano. È uno dei rari momenti in cui il Papa si concede al clero senza veli, privo di ogni formalità: ha consegnato il discorso ufficiale a sua eccellenza mons. Giovanni D’Alise ma non lo ha voluto leggere. E, con il suo solito sguardo sornione e humor da vero attore, gli ha detto: “Eccellenza, lo conservi pure per l’archivio”. Ha poi aggiunto con sorriso disarmante: “Si dice così quando si parla della carta straccia da buttare”. Insomma, papa Francesco ha messo tutti i presenti a proprio agio. Sembrava di stare al bar con un amico, tutti “vicini vicini”, senza posti riservati, come quando ci si incontra con un amico di vecchia data che è felice di stare con te, di ascoltarti e di raccontarti la sua esperienza di vita e, in questo caso, del Vangelo, di Gesù Cristo.
Quattro le domande fondamentali che alcuni sacerdoti, spontaneamente, hanno presentato a papa Francesco.
1. L’unità nella Chiesa
La prima domanda è stata presentata dal vicario generale di Caserta, mons. Antonio Pasquariello, circa i confini delle Diocesi e il cammino di conversione personale nella Chiesa locale. Papa Francesco ha insistito sull’unità nella Chiesa, sul bisogno di comunione tra i vescovi, evitando le cordate e le chiacchiere inutili. Ha detto anche che nella Chiesa antica, durante i concili, per questioni non solo dogmatiche, i vescovi facevano a pugni. L’unità nella Chiesa non significa uniformità: si tratta di rispettare il pensiero degli altri e di restare uniti pur avendo pareri differenti. Quello che conta, per papa Francesco, è avere il coraggio di parlare, di dire la propria opinione senza creare fazioni o divisioni. No, dunque al buonismo e ad alcuna forma di ipocrita diplomazia.
2. La pietà popolare e la nuova evangelizzazione
La seconda domanda è stata posta da padre Angelo Piscopo, parroco di S. Pietro apostolo in Cattedrale, sulla pietà popolare e il sentimentalismo della fede intimista. Papa Francesco è stato molto chiaro: «L’intimismo non fa bene» ed è un po’ sulla strada della New Age. A volte si afferma una religiosità pagana, lontana dalla dimensione ecclesiale della fede. La vera pietà popolare nasce dal sensus fidei ed è uno strumento valido per la nuova evangelizzazione. Il papa ha parlato dei giovani e del fatto che si annoiano nelle nostre Chiese e comunità quando non diventano protagonisti dell’annuncio e della missione. Ha poi ribadito l’importanza dei santuari, dei pellegrinaggi, delle vere devozioni. I santuari sono dei luoghi importanti dove la gente incontra Dio, riceve segni e miracoli e dove le persone si confessano e raccontano le loro miserie.
3. L’identikit del prete oggi
La terza domanda riguardava l’identikit del prete del terzo millennio. Il papa ha parlato della creatività del prete. La creatività, per papa Francesco, «è il comandamento che Dio ha dato ad Adamo: “Va e fa crescere la Terra. Sii creativo”. È anche il comandamento che Gesù ha dato ai suoi, mediante lo Spirito Santo, per esempio la creatività della prima Chiesa nei rapporti con l’ebraismo: Paolo è stato un creativo; Pietro, quel giorno quando è andato da Cornelio, aveva una paura di quelle, perché stava facendo una cosa nuova, una cosa creativa. Ma lui è andato là. Creatività è la parola. E come si può trovare questa creatività? Prima di tutto – e questa è la condizione se noi vogliamo essere creativi nello Spirito, cioè nello Spirito del Signore Gesù – non c’è altra strada che la preghiera. Un Vescovo che non prega, un prete che non prega ha chiuso la porta, ha chiuso la strada della creatività. È proprio nella preghiera, quando lo Spirito ti fa sentire una cosa, viene il diavolo e te ne fa sentire un’altra; ma nella preghiera è la condizione per andare avanti. Anche se la preghiera tante volte può sembrare noiosa. La preghiera è tanto importante. Non solo la preghiera dell’Ufficio divino, ma la liturgia della Messa, tranquilla, ben fatta con devozione, la preghiera personale con il Signore. Se noi non preghiamo, saremo forse buoni imprenditori pastorali e spirituali, ma la Chiesa senza preghiera diviene una ONG, non ha quella unctio Spiritu Sancti. La preghiera è il primo passo, perché è aprirsi al Signore per potersi aprire agli altri […]. La creatività che viene dalla preghiera ha una dimensione antropologica di trascendenza, perché mediante la preghiera tu ti apri alla trascendenza, a Dio. Ma c’è anche l’altra trascendenza: aprirsi agli altri, al prossimo. Non bisogna essere una Chiesa chiusa in sé, che si guarda l’ombelico, una Chiesa autoreferenziale, che guarda se stessa e non è capace di trascendere. È importante la trascendenza duplice: verso Dio e verso il prossimo. Uscire da sé non è un’avventura, è un cammino, è il cammino che Dio ha indicato agli uomini, al popolo fin dal primo momento quando disse ad Abramo: “Vattene dalla tua terra”. Uscire da sé. E quando io esco da me, incontro Dio e incontro gli altri. Come li incontro gli altri? Da lontano o da vicino? Occorre incontrarli da vicino, la vicinanza. Creatività, trascendenza e vicinanza. Vicinanza è una parola chiave: essere vicino. Non spaventarsi di niente. Essere vicino. L’uomo di Dio non si spaventa […]. Si tratta di vicinanza a una cultura, vicinanza alle persone, al loro modo di pensare, ai loro dolori, ai loro risentimenti […]. Allontanare la gente non è sacerdotale e di questo atteggiamento la gente a volte è stufa, eppure viene da noi lo stesso».
4. Il Dio delle sorprese e la diocesanità
L’ultima domanda riguardava la spiritualità del prete che non è un monaco, bensì un discepolo di Gesù chiamato a stare in mezzo alla gente. Papa Francesco ha detto che Dio è il Dio delle sorprese, che «sempre ci sorprende, sempre, sempre. Leggiamo il Vangelo e troviamo una sorpresa dietro l’altra. Gesù ci sorprende perché arriva prima di noi: lui ci aspetta prima, ci ama prima, quando noi lo cerchiamo lui ci sta già cercando […]. Dio è come il fiore del mandorlo, fiorisce per primo in primavera. È il primo, sempre primo, sempre ci aspetta. E questa è la sorpresa. Tante volte noi cerchiamo Dio di qua e lui noi ci aspetta di là. E poi veniamo alla spiritualità del clero diocesano. Prete contemplativo, ma non come uno che è nella Certosa, non intendo questa contemplatività. Il sacerdote deve avere una contemplatività, una capacità di contemplazione sia verso Dio sia verso gli uomini. È un uomo che guarda, che riempie i suoi occhi e il suo cuore di questa contemplazione: con il Vangelo davanti a Dio, e con i problemi umani davanti agli uomini. In questo senso deve essere un contemplativo».
Il centro della spiritualità del prete diocesano è nella diocesanità. È avere la capacità di aprirsi alla diocesanità. «Significa avere un rapporto con il Vescovo e un rapporto con gli altri sacerdoti […]. È molto significativo quando nel rito dell’ordinazione si fa il voto di obbedienza al Vescovo. “Io prometto obbedienza a te e ai tuoi successori”. Diocesanità significa un rapporto con il Vescovo che si deve attuare e far crescere continuamente. Nella maggioranza dei casi non è un problema catastrofico, ma una realtà normale. In secondo luogo la diocesanità comporta un rapporto con gli altri sacerdoti, con tutto il presbiterio. Non c’è spiritualità del prete diocesano senza questi due rapporti: con il Vescovo e con il presbiterio. E sono necessari. “Io, sì, con il Vescovo vado bene, ma alle riunioni del clero non ci vado perché si dicono stupidaggini”. Ma con questo atteggiamento ti viene a mancare qualcosa: non hai quella vera spiritualità del prete diocesano. È tutto qui: è semplice, ma al tempo stesso non è facile. Non è facile, perché mettersi d’accordo con il Vescovo non è sempre facile, perché uno la pensa in una maniera l’altro la pensa nell’altra, ma si può discutere … e si discuta! E si può fare a voce forte? Si faccia […]. Bisogna avere il coraggio di dire “Io non la penso così, la penso diversamente”, e anche l’umiltà di accettare una correzione. È molto importante. E qual è il nemico più grande di questi due rapporti? Le chiacchiere […]. Le chiacchiere sono il nemico più forte della diocesanità, cioè della spiritualità […]. Le chiacchiere sono una realtà presente già all’inizio della Chiesa, perché il demonio non vuole che la Chiesa sia una madre feconda, unita, gioiosa. Qual è invece il segno che questi due rapporti, tra prete e Vescovo e tra prete e gli altri preti, vanno bene? È la gioia».
5. L’amarezza nella Chiesa
Il papa, poi, facendo ridere un po’ tutti i presenti, ha parlato dell’amarezza nella Chiesa, tra i sacerdoti. «Una volta mi diceva un sacerdote, qui a Roma: “Ma, io vedo che tante volte noi siamo una Chiesa di arrabbiati, sempre arrabbiati uno contro l’altro; abbiamo sempre qualcosa per arrabbiarci”. Questo porta la tristezza e l’amarezza: non c’è la gioia. Quando troviamo in una Diocesi un sacerdote che vive così arrabbiato e con questa tensione, pensiamo: ma quest’uomo al mattino per colazione prende l’aceto. Poi, a pranzo, le verdure sott’aceto, e poi alla sera una bella spremuta di limone. Così la sua vita non va, perché è l’immagine di una Chiesa degli arrabbiati. Invece la gioia è il segno che va bene. Uno può arrabbiarsi: è anche sano arrabbiarsi una volta. Ma lo stato di arrabbiamento non è del Signore e porta alla tristezza e alla disunione».
Papa Francesco ha invitato i sacerdoti ad essere sereni, a gioire del Vangelo, ad essere felici della propria vocazione. Chi incontra Gesù non può non essere una persona felice. Al termine dell’incontro con il clero di Caserta, don Battista Marello, a nome dell’intera Diocesi di Caserta, ha regalato a papa Francesco un’opera in bronzo: il volto del Cristo che spezza il pane, segno di una Chiesa che è chiamata a vivere la carità verso tutti, soprattutto nei confronti dei più poveri. Questa visita inaspettata ha messo tutti in agitazione e dà molto a pensare circa la semplicità del Papa e la franchezza del suo parlare. Parlando del dialogo e dell’unità nella Chiesa, papa Francesco ha esortato tutti i presenti ad essere più sinceri, a dire le cose come stanno, ad avere rispetto del pensiero degli altri. L’unità non distrugge le differenze, ma le accoglie, senza cadere nell’uniformità. Il Santo Padre ha esortato i preti ad essere uomini, ad assumersi le proprie responsabilità, senza paura, senza riserve.
6. Il coraggio di dire no
Grazie papa Francesco per la tua parola amica, per il tuo modo di rapportarti alla gente. Sei veramente uno di noi. Grazie perché hai detto alla nostra gente di risorgere, di non lasciarsi rubare la speranza, di non piangersi addosso, di avere il coraggio di combattere il male e di denunciare ogni ingiustizia. Grazie perché nell’omelia ci hai detto anche che la nostra «bella terra» richiede di «essere tutelata e preservata», richiede di «avere il coraggio di dire no a ogni forma di corruzione e di illegalità». Ci hai ricordato che «dare il primato a Dio significa avere il coraggio di dire no al male, no alla violenza, no alle sopraffazioni, per vivere una vita di servizio agli altri e in favore della legalità e del bene comune»; e che «quando una persona scopre Dio, il vero tesoro, abbandona uno stile di vita egoistico e cerca di condividere con gli altri la carità che viene da Dio». È proprio vero: «Chi diventa amico di Dio, ama i fratelli, si impegna a salvaguardare la loro vita e la loro salute anche rispettando l’ambiente e la natura».
Che Dio ti benedica e ti accompagni sempre, papa Francesco!
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