Il dialogo come via per la nuova evangelizzazione
Papa Francesco, nell’omelia della messa mattutina di giovedì 8 maggio, in Casa Santa Marta, ha parlato della grazia di Dio, di come questa opera; e, in senso di autocritica per l’intera Chiesa cattolica, ha invitato a riflettere sul fatto che «è più importante la grazia che tutta la burocrazia». Il Santo Padre ha chiarito in modo inequivocabile il suo pensiero, spiegando che «tante volte noi in Chiesa siamo una ditta per fabbricare impedimenti, perché la gente non possa arrivare alla grazia». È questo un errore che nasce dall’essere peccatori, anche da parte dei membri della Chiesa cattolica: tante volte, infatti, quando si evangelizza, ha continuato Bergoglio, si vorrebbe, magari per questioni di tempo, che l’annuncio del Signore fosse standardizzabile. Ma non è così, perché l’opera di evangelizzazione è una opera individuale, è un dialogo che si deve instaurare con ogni singola persona perché «quella persona è quella che Dio vuole che tu evangelizzi» – ha spiegato il Vescovo di Roma – «che tu gli dia la notizia di Gesù è più importante. Ma come è, non come deve essere: come è adesso».
1. Il dialogo non è mai perdita di tempo
Questo modo di agire comporta tanto impegno, ossia di perdere molto tempo, ma lo stesso Signore ci insegna che «più tempo ha perso Dio nella creazione del mondo e l’ha fatta bene!». Per portare l’annuncio del Signore a ogni persona è, dunque, essenziale «il dialogo». Il dialogo è lo spazio necessario per la missione: «Non si può evangelizzare senza il dialogo […]. Perché tu devi partire proprio da dove è la persona che deve essere evangelizzata. E quanto importante è questo». Il dialogo con l’altro ci umanizza, crea fiducia, permette di entrare nel vissuto di chi ci sta di fronte, prima ancora di annunciare il Vangelo. Perché è in quella storia, in quel particolare vissuto che il Vangelo può portare luce ed essere accolto con gioia e fiducia.
La Chiesa deve, dunque, essere docile e deve saper instaurare il dialogo con ogni persona, perché non si evangelizza per idee standard ma «si parte da dove loro stanno», calandosi nella situazione reale e personale di ognuno. Ma soprattutto la Chiesa deve sempre «affidarsi alla grazia» poiché «è più importante la grazia che tutta la burocrazia». La critica si fa forte: «E tante volte noi in Chiesa siamo una ditta per fabbricare impedimenti, perché la gente non possa arrivare alla grazia. Che il Signore ci faccia capire questo».
2. La dimensione sociale del dialogo
Il tema del dialogo è presentato in maniera più sistematica nel capitolo quarto dell’Evangelii gaudium (ai nn. 177-258), lì dove il papa si sofferma sulla dimensione sociale dell’evangelizzazione. Il dialogo nasce dall’annuncio del Cristo risorto ed è sempre frutto del kerygma, ossia dell’esperienza di Gesù in mezzo ai suoi discepoli. In questo dialogo con il mondo, ove deve prevalere la buona novella per i poveri e l’attenzione caritatevole verso gli ultimi – qui è forte la critica di papa Francesco – all’ingiusta distribuzione dei beni e delle ricchezze (cf. nn. 202-208), il dialogo sociale diventa un vero contributo per la pace e si realizza concretamente nel confronto con alcuni settori della vita sociale e politica, delle scienze, della ragione. In particolare, i nn. 244-246 di Evangelii gaudium sono dedicati all’unità tra i cristiani, i nn. 247-249 alle relazioni con l’ebraismo, i nn. 250-254 al dialogo interreligioso e i nn. 255-258 al dialogo sociale in un contesto di libertà religiosa. Perché abbiamo bisogno del dialogo? Perché il confronto con l’altro – chiunque egli sia – ci umanizza, rende fratelli, avvicina alla cultura e al confronto sereno con le tradizioi, gli usi, i costumi e le condizioni di vita sociale e politica e religiosa di altri popoli e comunità. Senza dialogo si muore, non c’è vita. Il dialogo diventa, in questa prospettiva, via per la nuova evangelizzazione, lo spazio stesso della missione. Di fatti, per parlare e testimoniare Gesù agli altri, soprattutto ai non credenti, è necessario conoscere coloro che abbiamo di fronte a noi, saper decifrare la loro lingua, comprendere le motivazioni di fondo del loro modo di essere, di pensare e di agire. Solo attraverso questo processo dialogico – che si fa anche inculturazione – è possibile evangelizzare.
3. Il dialogo apre alla prossimità
Noi crediamo di comunicare avvicinandoci in tempo reale a chi si trova a grande distanza da noi, ma questo non crea prossimità, anzi, l’illusione di avvicinarsi grazie a mezzi di comunicazione sempre più sofisticati è una delle malattie più gravi del mondo d’oggi. Solo la prossimità fisica – la vicinanza concreta all’altro – diventa dialogo, evento interpersonale, ossia rende possibile una vera relazione. Senza di essa si passa con facilità dalla solitudine all’isolamento. È questo il rischio che corrono gli anziani e i malati e altresì i giovani. Su questi aspetti, papa Francesco è intervenuto continuamente nell’ultimo anno, parlando anche di un dialogo intergenerazionale tra quegli anelli della catena umana che sono i bambini e i vecchi i quali hanno bisogno della presenza dell’altro. Per un vero dialogo fraterno è necessario vedere il corpo dell’altro, ossia stare faccia a faccia, sentire l’odore dell’altro, guardarlo negli occhi, riconoscerlo dal suo timbro di voce, focalizzare i suoi sguardi e movimenti. In tal senso, il dialogo diventa una forma concreta di amore verso il prossimo.
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