Maria nel Corano

 

Y. Pallavicini (ed.), La sura di Maria. Traduzione e commento del capitolo XIX del Corano, (Collana Il pellicano rosso, n. 117), Morcelliana, Brescia 2010, pp. 232, euro 16.50.

 

 

Il testo che qui presentiamo è la traduzione della sura XIX del Corano. L’autore figura come curatore. In realtà, egli è anche autore perché raccoglie alcune sue personali riflessioni per l’oggi della nostra storia a proposito del significato della Rivelazione, del Corano, della donna, della figura di Maria nella spiritualità biblica, cristiana, musulmana e nella stessa pietà popolare. Il testo di Pallavicini non è solamente un nuovo commento alla sura di Maria, bensì il tentativo di mettere assieme i dati essenziali della rivelazione e della metafisica orientale che costituisce l’approccio seguito dall’autore. È veramente, questo, un saggio che favorisce il dialogo tra le religioni monoteistiche e anche tra culture diverse. Apprezzabile l’attualità del testo attraverso i moniti e gli interrogativi che l’autore pone a un certo punto nell’appendice. Il testo è così suddiviso: Sommario (Maria per i musulmani, il carattere del Corano, metodo di traduzione e commento, finalità e novità dell’islam occidentale, ringraziamenti); Commento alla Sura Maryam; Appendice (considerazioni per la società europea contemporanea, l’universalità dell’uomo e della donna, educazione religiosa e decadenza intellettuale, conseguenze virtuose e corrispondenze spirituali); Conclusioni (dalla sura di Maryam all’Occidente moderno); Bibliografia.

Circa il metodo utilizzato, sia per la traduzione sia per le riflessioni, l’autore afferma: «Occorre ricordare che per un musulmano il Corano in tutte le sue parti rappresenta il Verbo di Allah e la Fonte che guida i credenti verso la retta azione; solo considerato in tal senso il Corano manifesta la sua reale natura […]. Abbiamo cercato di realizzare una traduzione della sura di Maryam dalla lingua del Corano alla lingua italiana, consapevoli che non ci può essere una corrispondenza tra una lingua sacra e una lingua convenzionale […]. La ricerca sulle radici delle parole arabe è stata accompagnata dallo sforzo di penetrazione del carattere della Rivelazione e dalla considerazione delle esigenze di lettori occidentali che s’interessano di religione. Tutto ciò richiede uno straordinario livello di pietà e timore spirituale» (p. 15). Sono da apprezzare lo sforzo dell’autore in quanto traduttore e l’approccio sapienziale al testo rivelato da lui seguito. Di fatti, il metodo storico-critico per l’approccio al Corano è stato qui messo da parte. L’imam di Milano è alla ricerca di equilibrio e di dialogo tra Occidente e Oriente: «Per un musulmano che nasce e cresce in Italia le radici giudeo-cristiane nella storia e nella cultura occidentale sono evidenti tanto quanto il contributo che la civiltà islamica ha saputo trasmettere in tutti i campi, dall’arte, alle scienze, agli studi universitari. Parallelamente, la sensibilità religiosa ha forse trovato in Occidente una sua libera espressione a seguito di un confronto complesso e, a tratti, contraddittorio, con la modernità del pensiero e la laicità del sistema di amministrazione politica. In questo quadro nasce e si sviluppa l’islam europeo, che ha la responsabilità di rinnovare e sintetizzare armoniosamente l’identità tradizionale  e sacrale della Rivelazione islamica con il contesto sociale, storico e giuridico contemporaneo» (pp. 17-18).

Possiamo giustamente affermare che questo testo è l’espressione del volto europeo del pensiero islamico e il frutto di un dialogo sincero, costruttivo e necessario per la pacifica convivenza tra popoli, culture, fedi e lingue in Italia.

Per i musulmani, la Vergine Maria (Maryam), è la madre di Gesù (‘Isa), nonché un modello di riferimento per la spiritualità e la pietà popolare. In quanto modello di pietà e di virtù, fu lo stesso profeta Maometto a riconoscere in Maria questo grande tesoro. Maryam è collocata tra le sante, tra le persone elette da Dio nella storia sacra, tra le donne che il demonio non ha toccato e che hanno mantenuto per tutta la vita l’integrità della loro purezza originaria, unica donna ad aver vissuto il miracolo della maternità senza il concorso di alcun uomo (cf. p. 8). Di lei si parla tranquillamente come di una vergine e quale Immacolata Concezione. Di lei, ancora, si pone in rilievo il tipo di educazione religiosa e familiare ricevuta fin da piccola. I maestri spirituali dell’islam mettono in evidenza, di Maria, il senso dell’amore per Dio e il carattere pratico di questo amore. Si tratta dell’amore con cui Dio sceglie, purifica e guida i suoi eletti, ma anche dell’amore che essi manifestano per lui soltanto. L’amore di Dio accomuna tutti gli eletti. Di Maryam, però, il Corano dice che Dio l’ha eletta tra tutte le donne del creato (3,42).

In Maria non appare alcun sentimentalismo materno. Perché ella è totalmente orientata verso il bene supremo, Dio stesso. Maria resta una figura strumentale in rapporto alla rivelazione e alla stessa volontà di Dio. Potremmo ritenere per vero, senza sbagliare, che Maryam è soprattutto il segno dell’onnipotenza divina. Di fatti, Allah l’affidò a Zaccaria il quale, ogni volta che entrava nel santuario, trovava cibo presso di lei (cf. 3,37). Dove passa o dimora Maria non manca mai il pane di Dio, il cibo della Provvidenza. Si potrebbe dire, parafrasando un’espressione di Karl Barth, che Maria è il segno della “possibile impossibilità di Dio”. Maria ci dice che tutto è possibile per l’Onnipotente. Certamente, se l’islam pone in evidenza soprattutto la funzione di Maria – come segno e strumento dell’onnipotenza di Dio e modello di fede e di umiltà –, il cristianesimo si sofferma anche e soprattutto sulla sua destinazione finale in quanto coglie nella Vergine l’icona escatologica della Chiesa.

Lasciandoci prendere da altre suggestioni e andando oltre il senso letterale del testo rivelato, potremmo dire che Maria è colei che ha sedotto Dio per la sua umiltà, nel senso che Dio elegge liberamente e gratuitamente ciò che si rivela piccolo, umile, povero, libero, semplice. Poiché Dio è l’Onnipotente, il Creatore, e sta in alto, non può che guardare in basso, verso di noi, e proporsi in una forma che viene dal basso e non che tende a stare in alto: è questa la logica dell’Onnipotente. Quel Dio eccelso, i cui occhi guardano soltanto verso il basso, non poteva non esprimersi in una forma umile. È questa l’opera della grazia. D’altronde, come ci ricorda Lutero nel suo stupendo commento al Magnificat, nessuno vuole guardare in basso, dove c’è povertà, vituperio, bisogno, afflizione e angoscia, anzi tutti distolgono lo sguardo da una tale condizione. Ognuno sfugge le persone così provate, le scansa, le lascia sole. Dio soltanto sa guardare a quelli che si trovano nella povertà più profonda e nell’afflizione. Le azioni e lo sguardo di Dio sono volti verso il basso, lo sguardo e le azioni degli uomini soltanto verso l’alto. Così, l’atto di fede è l’unica azione che ci avvicina a Dio, al suo modo di pensare e di agire. Attraverso lo spirito, l’uomo può cogliere le cose spirituali e invisibili, eterne. La ragione, luce del corpo, non riceve vita né luce se non è formata dallo Spirito Santo. La fede è fiducia nell’invisibile azione di Dio e nella promessa della sua grazia. È, la fede, l’unica opera buona che possiamo compiere. Questa fede può ogni cosa e ci permette di fare l’esperienza di Dio. Avere fede significa non vedere le cose magnifiche e appariscenti, come fa l’uomo stolto, ma vedere Dio nelle cose basse e umili, come la Vergine Maria.  La Madre di Gesù confessa che la prima opera di Dio in lei è lo sguardo divino che si è posato su di lei, ed è anche l’opera maggiore, dalla quale tutte le altre dipendono e dalla quale tute scaturiscono. Infatti, quando avviene che Dio volge il suo volto per riguardare qualcheduno, scende da lui pura grazia e salvezza e devono seguire tutti i doni e tutte le opere. Nella visione di Lutero, la Vergine Maria ci insegna che la prima opera di Dio è la sua misericordia, mentre l’altra sua opera consiste nell’abbattere in noi l’orgoglio spirituale.

Scrive così Pallavicini: «L’esempio di Maryam rappresenta un richiamo alla perfezione spirituale alla quale in egual misura uomini e donne sono tenuti a elevarsi, superando i limiti dell’ignoranza e delle passioni per disporsi a compiere la volontà divina. Seguire l’esempio della madre di ‘Isa non significa cadere in un cieco formalismo confessionale o rifugiarsi nel fondamentalismo bigotto che deriva da un’interpretazione ideologica della religione, né concepire il perfezionamento come attitudine individuale ed egocentrica, identificazione personale con la civiltà contemporanea o fede nella progressiva evoluzione storica verso il meglio […]. Nel nostro mondo, occidentale e moderno, le immaginazioni legate al guadagno, al lavoro, al sostentamento, alla soddisfazione personale e alla felicità individuale possono essere capovolte e viste  con l’occhio di Maryam. L’illusione lascerà il posto alla verità, e ogni circostanza diverrà occasione di sostentamento e nutrimento spirituale, invocazione a Dio e ricerca di un bene superiore» (pp. 217; 220-221).

Sono ricchi di spunti e di provocazioni le pagine che l’autore ha messo assieme nella parte definita appendice. Il testo, a un certo punto, apre a un ventaglio di riflessioni e di suggestioni di grande rilievo che qui proviamo a presentare.

Anzitutto, occorre riscoprire il significato simbolico ed esistenziale della figura di Maria per l’oggi della storia, ricollegando il ruolo dell’uomo e della donna al giusto posto nella società post-moderna, soprattutto in Europa. L’uomo e la donna sono stati creati dal Signore dal nulla e possono tendere alla perfezione o all’involgarimento del loro servizio sacro in qualsiasi epoca e regione della terra (cf. pp. 155-157). Se, da una parte, quindi, l’autore pone in risalto il carattere creaturale, finito, contingente e limitato della nostra esistenza, dall’altra esprime le potenzialità che in noi sono ben nascoste per la crescita spirituale. Maryam è un modello evidente di illuminazione spirituale e di pratica della rettitudine. Maryam sembra dirci che vale la pena vivere solo per Dio, per il suo nome! Interessante la lettura che l’autore fa del concetto di volgarità come opposizione a ciò che è perfetto e che è in relazione al sacro. «L’uomo e la donna possono assumere caratteristiche volgari ogni volta che s’immedesimano con un’ostinata indifferenza o contrapposizione alla dinamica spirituale» (p. 157). Quella di Maryam è stata una maternità straordinaria, segnata dalla purezza e dalla castità. L’autore fa rientrare la castità e la purezza tra le forme di autentica civiltà e dialogo. Ci sarebbe molto da scrivere e da dibattere sulla strumentalizzazione del corpo oggi! La sua di Maryam insegna a ogni uomo e donna, anche dell’Europa contemporanea, la lotta all’egocentrismo, all’esclusivismo, alla codardia e alla finzione scenica del mondo virtuale (cf. pp. 160-161).

Importante altresì il richiamo alla creazione ex nihilo dell’uomo e della donna e al compimento della loro vocazione all’interno della famiglia. Molto ci sarebbe da discutere sul concetto biblico e coranico della gioventù e della vecchiaia: si tratta di una visione sapienziale oggi alquanto smarrita o sottovalutata. Il ciclo del tempo è illuminato sempre dalla fede, così come anche il senso della vita e del progetto familiare. L’ideale di un’eterna giovinezza sembra contrastare con la visione sapienziale degli anziani. Così, anche il culto del corpo e dell’estetica sembra prevalere sul dono dell’intelligenza. L’unità della famiglia è il riflesso più naturale dell’unità tra i credenti. Così, non si è mai da soli. La fede è anche la risposta alla solitudine globale nella quale noi viviamo oggi.

Interessante, poi, la riflessione sull’educazione religiosa e sulla decadenza intellettuale nella quale ci troviamo. Per imparare a leggere occorre imparare ad ascoltare: è il grande dono del silenzio. Da qui il senso della comunicazione spirituale che è in contrasto con quella globale e interplanetaria dei nostri tempi. Occorre educarsi a sentire il silenzio, a vedere l’Invisibile, a riconoscere i segni di Dio nella nostra storia, così come nel mondo, nella natura, nell’universo. L’infelicità consiste, poi, nel ritenere i propri diritti e desideri indiscutibili, assoluti, e quindi da presentare a Dio per il soddisfacimento di ogni bisogno. Non c’è felicità senza il dialogo spirituale tra il credente e Dio. Belle le suggestioni a proposito del concetto di povertà: esprime il bisogno d’essere, il bisogno di Dio come bene assoluto e non l’essere di bisogno. Allah è la vera ricchezza del musulmano, il bene più grande. Povero è colui che riconosce Dio come il Bene assoluto e trova in lui pace e riposo. Anche san Francesco cantava: Tu sei il Bene, tutto il Bene… Dio è il Creatore e il Proprietario di tutto il creato. Il povero (faqir) è colui che realizza il proprio cammino spirituale, chi percorre la via che lo conduce a Dio. I poveri sono i testimoni della vita interiore. Maria è testimone della vita interiore che porta a Dio.

[Edoardo Scognamiglio]

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