Perché il dialogo continui…
Ho conosciuto padre Luigi Padovese al Seraphicum, quand’era docente della Facoltà Teologica San Bonaventura in Roma ed io un semplice studente appassionato di teologia e dei Padri della Chiesa. Fu invitato per un corso alla specializzazione in Cristologia. Ai più era ben noto per le sue ricerche in ambito cristiano antico e del Medio Oriente.
Frate minore cappuccino, Luigi Padovese era nato a Milano nel 1947 e si distinse come professore di patristica e poi preside dell’Istituto francescano di Spiritualità al Pontificio Ateneo Antonianum in Roma, ora sede universitaria. La sua morte, lo scorso 3 giugno, per la mano folle di un suo collaboratore (autista in crisi?) ha gettato gran parte del mondo cattolico nello sconforto. Era vicario apostolico dal 2004 per l’Anatolia, nonché figura di spicco per il dialogo con l’islam e l’unità delle Chiese nel Medio Oriente, nonché presidente della Conferenza episcopale turca. Per 10 anni fu altresì visitatore del Collegio Orientale di Roma per la Congregazione delle Chiese Orientali e anche consulente della Congregazione per le cause dei santi. Lavorò molto per il riconoscimento giuridico della Chiesa in Turchia.
1. La Verità nell’Amore
Ispirandosi a Giovanni Crisostomo, vescovo antiocheno di Costantinopoli, monsignor Padovese scelse come motto episcopale In Caritate Veritas (la Verità nell’Amore) e così lo commentò: “Sono parole che esprimono il mio programma di ricercare la verità nella stima e nel reciproco volersi bene. Se è vero che chi più ama, più si avvicina a Dio, è anche vero che per questa strada ci avviciniamo al senso vero della nostra esistenza che è un vivere per gli altri. Su questa convinzione si fonda anche la mia volontà di dialogo con i fratelli ortodossi, quelli di altre confessioni”.
Padre Luigi è stato un uomo che ha abbattuto muri e continuamente costruito ponti: tra il mondo laico e il cristianesimo, tra la ragione emancipata e il Logos evangelico, tra i fondamentalisti e uomini e donne animati dalla buona volontà di annunciare Cristo in ogni luogo e condizione. Libero da pregiudizi, da “partiti presi”, da certe mode borghesi del clericalismo avvizzito e sterile, il presule di Istanbul sapeva riconoscere il bene anche lì dove imperversava il male. Era un uomo che si sporcava le mani. Gioviale e semplice, disponibile a dialogare con serenità e fiducia, padre Luigi Padovese aveva saputo testimoniare il Vangelo delle beatitudini con la sua docilità e mitezza. Egli aveva compreso che la Verità è solo uno strumento dell’Amore che è il fine di tutto. La Verità è la forma che l’Amore si è data nel tempo per la salvezza degli uomini!
2. La forza del perdono
Ricordo le lunghe passeggiate all’Eur e le belle nuotate presso la piscina che fronteggiava il nostro Collegio; padre Luigi Padovese era uno di noi, uno studente come tanti, consapevole che Cristo, via, verità e vita, fosse l’unico Maestro. È morto a 63 anni come vescovo in prima linea, impegnato concretamente nel dialogo in una terra difficile e ambigua, la Turchia, che in parte si dichiara laica e in parte, invece, nasconde inquietanti forme di fondamentalismo. Soffrì molto per la morte di don Andrea Santoro, e tentò in tutti i modi di ricucire il dialogo con le autorità locali e le comunità islamiche della Turchia. Alla messa di suffragio per il sacerdote ucciso, Padovese affermò: “Noi perdoniamo chi ha compiuto questo gesto. Non è annientando chi la pensa in modo diverso che si risolvono i conflitti. L’unica strada che si deve percorrere è quella del dialogo, della conoscenza reciproca, della vicinanza e della simpatia. Ma fintanto che sui canali televisivi e sui giornali assistiamo a programmi che mettono in cattiva luce il cristianesimo e lo mostrano nemico dell’islam (e viceversa), come possiamo pensare a un clima di pace?”. E, ancora, riferendosi a don Santoro, aggiunse: “Chi ha voluto cancellare la sua presenza fisica, non sa che ora la sua testimonianza è più forte”. Avrebbe dovuto accogliere papa Benedetto XVI a Cipro e fare il punto della situazione delle Chiese cristiane in Medio Oriente. Credeva in una presenza cristiana che fosse lievito in un mondo complesso come quello turco e con una comunità cattolica povera nei mezzi e minoritaria, disarmata. Da buon conoscitore dei Padri della Chiesa, il nostro presule aveva il senso della radici cristiane antiche e la pazienza di testimoniare il Vangelo in uno stato di cattività e di marginalità.
3. Il piccolo gregge
Incontenibile il suo sorriso quando papa Benedetto arrivò in Turchia nel 2006 e ad Efeso, durante la celebrazione eucaristica (29 novembre), citò un’espressione di Giovanni XXXIII che diceva: “Io amo i turchi, apprezzo le qualità naturali di questo popolo che ha pure il suo posto preparato nel cammino della civilizzazione”; e poi, rivolgendosi alle autorità religiose affermò: “Grazie per la vostra presenza, per la vostra testimonianza e il vostro servizio alla Chiesa, in questa terra benedetta dove, alle origini, la comunità cristiana ha conosciuto grandi sviluppi, come attestano anche i numerosi pellegrinaggi che si recano in Turchia”.
Monsignor Padovese sapeva di appartenere al piccolo gregge, alla Chiesa dei martiri, di coloro che sono senza diritti e sempre più oppressi per la mancata libertà. Per questo fu sempre animato da spirito di servizio, dalla passione ardente per il mistero di Cristo. La lezione del chicco di grano che muore per portare frutto ha un riscontro concreto nella vita di Luigi Padovese che ha sempre creduto nell’ecumenismo e nel dialogo interreligioso. Spesso, nelle sue lezioni, mons. Padovese ripeteva: <La croce, insomma, è un’applicazione sino alle ultime conseguenze di quel che concretamente significa “Dio è amore”. Nella croce, dunque, Dio insospettatamente si dichiara per quel che è e, al tempo stesso, dichiara quanto l’uomo – a cominciare dagli ultimi – gli stia a cuore>.
4. Figlio del Poverello
Figlio del Poverello d’Assisi, fra Luigi Padovese lascia una grande testimonianza per tutta la Chiesa: il cristiano, per sua natura, è dialogico, è un essere comunionale. Perché riceve la vita nel nome di Cristo, Figlio di Dio, per la potenza dello Spirito Santo. Essere, esistere, vivere, respirare, significa dialogare, costruire relazioni, comunicare con gli altri, fare comunione, abbattere i muri del pregiudizio senza paure, accogliendo le diversità e le alterità – pur come forma di minaccia e non senza conflitti – quale dono e sfida per la propria fede, per la stessa vita, per la cattolicità della Chiesa. Il dialogo, per lui, era nel dna di ogni battezzato.
Alla scuola del dialogo e di Francesco, monsignor Padovese, senza nulla perdere della sua identità cristiana, ha espresso la forma più paradossale del dialogo: il martirio. È questa la forma propria del dialogo in senso cristiano che non chiede niente, nemmeno la riconoscenza, neanche la reciprocità. Perché amare è donare la vita. Perché credere è dire all’altro “Tu non morirai, in quanto morirò io per te”.
Se è vero che il sangue dei martiri è il seme dei nuovi cristiani (Tertulliano), la morte di Luigi Padovese non andrà sprecata: perché segnerà l’inizio di una nuova speranza per i cristiani perseguitati, l’inizio di un nuovo annuncio, affinché lo scandalo della croce di Cristo raggiunga ogni persona di buona volontà. In un suo fortunato libro – Lo scandalo della croce. La polemica anticristiana nei primi secoli, EDB, Roma-Napoli 1988 – è richiamata, come dedica, prima dell’introduzione, una profetica citazione dell’apostolo Paolo: Mihi autem absit gloriari nisi in cruce Domini nostri Jesu Christi, per quem mihi mundus crucifixus est, et ego mundo (Gal 6,14).
Nascosto con Cristo in Dio, come l’apostolo delle genti, il nostro presule, se potesse parlare, ci direbbe – quasi certamente – che il dialogo deve continuare, perché Dio è amore. Quella di Luigi Padovese non è stata, come per san Francesco che si recò dal Sultano d’Egitto e gli divenne amico, una lieta novella, bensì una triste storia. È il dramma di un cristianesimo marginale e impotente che fa notizia solo nel sangue e che, posto ai confini di una società religiosa integralista, è respinto per la sua proposta di libertà ed è soffocato dalla fede altrui, dalla paura di chi non riesce a dialogare e ad aprirsi agli altri e alla modernità.
Penso ai cristiani che soffrono in Libano, in Siria, in Turchia, in Palestina, a Cipro… Quanti martiri! Quante sfide! Quante speranze! Dialogue must go on! Il dialogo deve continuare!
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