I diritti dell’infanzia
La famiglia, soggetto di evangelizzazione e risorsa per la società
Nei giorni 8/10 febbraio 2010 si è svolta a Roma, presso la casa Bonus Pastor, la XIXª Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Il tema centrale dell’incontro è stato quello dei diritti dell’infanzia, con particolare attenzione alla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia approvata dall’Onu, dopo un itinerario abbastanza complesso e non privo di contraddizioni, nel 1989.
Presentiamo qui, come forum, i risultati e le analisi più rilevanti dell’assemblea plenaria che ha ricondotto l’argomento dei diritti dell’infanzia sempre nel contesto della famiglia, facendo capire esplicitamente – affermando con forza e coraggio, senza compromessi o facili negoziazioni – che i diritti dei bambini sono sempre i diritti di coloro che “sono figli”, per cui l’identità del fanciullo è da ricondurre sempre a quella relazione fontale – o matrice – che è il legame coniugale che si viene a formare tra un uomo e una donna all’interno del progetto familiare. Pur analizzando gli aspetti giuridici, etici, socio-pedagogici, psicologici e religiosi dell’infanzia, e considerando i limiti e le risorse della Convenzione sopra citata, è necessario ribadire che l’identità del bambino si esprime sempre come identità filiale. Per cui, necessariamente, il discorso sui diritti dell’infanzia richiama sempre la riflessione sulla famiglia.
1. La famiglia soggetto di evangelizzazione e risorsa per la società
In apertura, il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia, ha informato i convenuti sull’attività ordinaria del Dicastero e presentato il progetto La famiglia soggetto di evangelizzazione. Tale progetto, a carattere più ecclesiale e a servizio della pastorale familiare, è un po’ il frutto del sesto incontro mondiale delle famiglie – svoltosi a Città del Messico nello scorso 2009 – ed è accompagnato da un altro progetto che ha una rilevanza più civile e sociale: La famiglia risorsa per la società. Il terzo progetto del Dicastero riguarda la presentazione di un vademecum per la preparazione al sacramento del matrimonio, richiesto già da tempo dalla Congregazione per la Dottrina della Fede su espresso desiderio di Benedetto XVI.
Il cardinale Antonelli ha presentato la famiglia come soggetto di evangelizzazione e non semplicemente quale destinatario della catechesi e della formazione. Ciò sarà possibile, innanzitutto, riscoprendo quella specifica spiritualità coniugale che trova nella famiglia di Nazareth il suo modello più alto e concreto. Sarà importante, poi, il cammino familiare di conversione per la sequela di Cristo ogni giorno, per la difesa della vita e la formazione cristiana dei bambini. Da qui la necessità di preparare un vademecum da consegnare ai fidanzati per la loro preparazione al matrimonio. Nell’esortazione apostolica Familiaris consortio (22-11-1981), Giovanni Paolo II affermava che è necessaria una preparazione al matrimonio in tre momenti: uno remoto, uno prossimo e uno immediato (cf. n. 66). Riferendosi a tali indicazioni, il Dicastero si propone di delineare convenientemente la fisionomia delle tre tappe dell’itinerario per la formazione e la risposta alla vocazione coniugale.
La preparazione remota riguarda i bambini, gli adolescenti e i giovani. Essa coinvolge la famiglia, la parrocchia e la scuola, luoghi nei quali si viene educati a comprendere la vita come vocazione all’amore.
La preparazione prossima riguarda i fidanzati e dovrebbe configurarsi come un itinerario di fede e di vita cristiana che conduca alla conoscenza approfondita di Cristo.
La preparazione immediata ha luogo in prossimità del matrimonio. Oltre all’esame dei fidanzati, previsto dal diritto canonico, essa potrebbe comprendere una catechesi sul Rito del matrimonio e sul suo significato, il ritiro e la cura affinché la celebrazione del matrimonio sia percepita dai fedeli, e particolarmente da quanti vi si preparano, come un dono per la chiesa, un dono che contribuisce alla crescita spirituale. È bene, inoltre, promuovere lo scambio di esperienze più significative, offrendo stimoli per un serio impegno pastorale in questo importante settore.
Quasi come anticipo del dibattito sui diritti dell’infanzia, il cardinale Antonelli ha sottolineato due concetti molto importanti: per tutelare i bambini occorre promuovere la famiglia (si parla tanto dei diritti degli adulti, è ora di dare la priorità ai diritti dei bambini); i pastori della Chiesa cattolica, secondo la loro missione di educare le coscienze e di proclamare la verità su Dio e sull’uomo, sono chiamati continuamente a prendere posizione nel dibattito pubblico su temi di bioetica e di diritto familiare. Successivamente, sono stati presentati i nuovi membri del Pontificio Consiglio della Famiglia.
2. Il diritto ad avere una famiglia
Benedetto XVI, nel discorso di saluto (di lunedì mattina, 8 febbraio 2010) ai partecipanti alla plenaria, ha affermato che la famiglia è l’ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri, e in particolar modo dei fanciulli. «Ebbene, è proprio la famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, l’aiuto più grande che si possa offrire ai bambini. Essi vogliono essere amati da una madre e da un padre che si amano, e hanno bisogno di abitare, crescere e vivere insieme con ambedue i genitori, perché le figure materna e paterna sono complementari nell’educazione dei figli e nella costruzione della loro personalità e della loro identità. È importante, quindi, che si faccia tutto il possibile per farli crescere in una famiglia unita e stabile. A tal fine, occorre esortare i coniugi a non perdere mai di vista le ragioni profonde e la sacramentalità del loro patto coniugale e a rinsaldarlo con l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera, il dialogo costante, l’accoglienza reciproca e il perdono vicendevole. Un ambiente familiare non sereno, la divisione della coppia dei genitori, e, in particolare, la separazione con il divorzio non sono senza conseguenze per i bambini, mentre sostenere la famiglia e promuovere il suo vero bene, i suoi diritti, la sua unità e stabilità è il modo migliore per tutelare i diritti e le autentiche esigenze dei minori».
Nel pomeriggio dell’8 febbraio, sono stati accolti brevi interventi di membri e consultori del Pontificio Consiglio della Famiglia in rapporto alla Priorità della pastorale della famiglia e della vita nelle varie aree geografiche. Interessanti i commenti e le comunicazioni di alcuni coniugi provenienti dalle diverse parti del mondo. La crisi della famiglia è intimamente legata al processo di secolarizzazione e al relativismo etico oramai diffusi non solo in Occidente, bensì in tutto il globo terrestre. La questione sulla dignità, l’identità e la missione della famiglia ha risvolti antropologici (il significato cristiano della libertà, dell’amore, dell’educazione), nonché implicazioni etiche (il rispetto della vita umana, la sessualità), e si avvale di dinamiche socio-politiche da non sottovalutare (la tutela dei minori, la giustizia, il rispetto dei diritti della persona umana). L’attenzione ai diritti dell’infanzia obbliga necessariamente alla riflessione teologica sull’identità della coppia e sul progetto divino circa la missione della famiglia nella società. Uno dei primi diritti del bambino è d’essere amato, nonché di avere due genitori. È il diritto all’identità e alla paternità e maternità. Il bambino ha diritto ad avere una vera e propria famiglia che diviene l’habitat nel quale crescere e formarsi.
Monsignor Carlos Simón Vázquez, sotto-segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha presentato la memoria del cammino già fatto dal Dicastero, mentre monsignor Jean Laffitte, segretario del medesimo Dicastero, ha presentato una relazione pastorale introduttiva. A seguito, il dibattito con i consultori e tutti gli uditori.
3. I diritti dell’infanzia
La seconda sessione della plenaria, iniziata martedì 9 febbraio 2010, è stata dedicata completamente alla discussione sui diritti dell’infanzia. I temi della giornata e i singoli relatori sono stati presentati da padre Gianfranco Grieco, capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia.
3.1. La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia
L’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, nunzio apostolico e osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu e le altre organizzazioni internazionali a Ginevra, ha presentato un’elaborata e precisa relazione su La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia: sviluppi successivi e azione della Santa Sede dal 1989 a oggi. Alcune recenti statistiche rivelano le gravi condizioni umane, psicologiche e culturali in cui versano i minori. È sufficiente pensare che, ogni cinque secondi, un bambino muore per malattie che normalmente si possono curare. Inoltre, duecento milioni di bambini sono costretti a lavorare. E, ancora, cento milioni di bambini non hanno accesso all’educazione.
Pornografia e pedofilia sono due fenomeni sempre più diffusi nel mondo occidentale. Da sempre la Chiesa cattolica si è impegnata per l’infanzia con l’azione caritativa e pedagogica. “Infanzia” è un termine che considera un dato molto concreto: il bambino è portatore di diritti. Per il passato, il posto occupato dai fanciulli nella società è stato sempre marginale. Oggi, invece, il bambino è diventato oggetto primario della società.
Lo Stato, nel XX secolo, ha assunto come tema proprio quello dell’infanzia. I primi documenti risalgono agli anni venti del Novecento. Nel 1924, l’Onu approvò la dichiarazione dei diritti del fanciullo, ben nota come dichiarazione di Ginevra. I contenuti furono formulati come dovere e non come diritti dei bambini. Oggi, invece, i diritti dei bambini sono stati riscoperti in quanto tali. In proposito, molto lavoro è stato compiuto dalla Chiesa cattolica che ha sempre tutelato i più deboli, tra cui i minori, e assunto posizioni chiare e non negoziabili sul ruolo e la missione della famiglia nella società.
Il primo diritto dei bambini è di nascere e d’essere educati in un ambiente maturo e sereno, che è proprio della famiglia. Monsignor Tomasi ha presentato con molta chiarezza l’evoluzione della dichiarazione dei diritti dell’infanzia a partire dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il 20 novembre 1959, l’Onu revisionò la dichiarazione dei diritti del fanciullo. Da qui un lungo processo di rielaborazione fino agli anni ’70 del secolo scorso. Nel 1979, la commissione dell’Onu sui diritti umani stabilì un gruppo di lavoro aperto che cercasse di coordinare le osservazioni e le indicazioni emerse in vario modo. Da qui nasce la Convenzione del 1989.
3.2. Il contributo della Santa Sede
Il contributo specifico della Santa Sede è da collegare, innanzitutto, al magistero di Giovanni Paolo II. Nel 1979, anno internazionale del bambino, il papa intervenne davanti all’assemblea dell’Onu e parlò dei bambini come della “primavera della vita”, “anticipazione della storia futura di ciascuna delle patrie terrestri”. Nessun paese del mondo, né alcun sistema politico, può pensare al proprio avvenire se non attraverso l’immagine di queste nuove generazioni. «La sollecitudine per il bambino, già prima della sua nascita, già dal primo istante del suo concepimento, e poi nel corso della sua infanzia e della sua adolescenza, è per l’uomo il modo primordiale e fondamentale di verificare la sua relazione con l’uomo».
Tale discorso indicò la strada da seguire sia per l’Onu che per la Chiesa cattolica. Il lavoro più grande della Santa Sede è avvenuto attraverso l’approfondimento dei temi della dottrina sociale, tra cui il diritto alla vita, il diritto e il dovere dei genitori, il diritto allo sviluppo spirituale e culturale dei bambini, il diritto all’educazione, etc… Non si può sottovalutare il contributo della Santa Sede, a proposito del diritto alla vita, per la compilazione e revisione della Convenzione internazionale. Il diritto alla vita riguarda non solo il nascituro ma anche la vita prima della nascita, cioè l’embrione. Da rilevare il contributo della Santa Sede per il diritto all’educazione e alla libertà religiosa. Pur riconoscendo l’indiscutibile importanza della Convenzione internazionale, bisogna sottolineare l’assenza, nel trattato del 1989, dei diritti di terza generazione: la pace, l’ambiente e lo sviluppo. Ai bambini non è stato riconosciuto il diritto, insito nel diritto alla pace, a un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti umani sono pienamente realizzati. Questo diritto è presente nell’articolo 28 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e si trova, a livello regionale, nella carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli.
Il contributo della Santa Sede continua ancora oggi attraverso il dialogo e la collaborazione con il comitato sui diritti del fanciullo. Mediante la sua partecipazione nello sviluppo e nell’accesso alla Convenzione ai diritti del fanciullo, la Santa Sede ha dato un contributo inconfutabile, fondato su valori fondamentali: la legge naturale, le verità rivelate e l’impegno concreto e quotidiano per la tutela di quel dono di Dio che sono i bambini, dal momento del loro concepimento. Allo stesso, la Santa Sede tempo ha rafforzato la sacralità della famiglia.
3.3. Limiti e violazioni della Convenzione
Vincenzo Buonomo, ordinario di Diritto internazionale alla Pontificia Università Lateranense (Città del Vaticano), si è occupato de La violazione dei diritti dei minori alla luce dell’applicazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia. Il professore Buonomo ha rilevato soprattutto due elementi fondamentali: l’impatto della Convenzione sui diritti dell’infanzia dell’Onu in questi venti anni; l’effetto circa il rispetto dei diritti richiamati nella Convenzione a partire dal comitato – organo legislativo ufficiale universalmente riconosciuto – che ha interpretato la Convenzione dei diritti del fanciullo. La Convenzione del 1989 ha fatto del fanciullo un soggetto di diritto. È questa la novità più significativa della Convenzione medesima. Non è semplicemente lo Stato che agisce verso il fanciullo, in suo favore; bensì, è la società che deve garantire i diritti del fanciullo.
Due osservazioni di un certo rilievo: oggi non parliamo più del diritto del fanciullo ma dei fanciulli. Da una dimensione personale si è passati a una prospettiva collettiva. L’approccio comunitario mette in risalto istanze, interessi e richieste diversi. Così è avvenuto anche per la donna: oramai l’attenzione è per i diritti delle donne. Il cambiamento effettivo è avvenuto con la conferenza di Pechino dell’Onu del 1985: conferenza sulle donne e non sulla donna.
Il secondo elemento di particolare interesse della Convenzione sui diritti dei fanciulli riguarda il ruolo stesso della Convenzione e del suo comitato interpretativo. La Convenzione non ha la funzione di garantire dei diritti ma di riformare la legislazione degli Stati e i sistemi giudiziari delle nazioni. Così, dopo venti anni, l’evoluzione e l’interpretazione della Convenzione sono state usate per inasprire lo Stato verso chi commette crimini nei confronti dei fanciulli. I diritti dei bambini hanno avuto un’evoluzione così come è accaduto per gli altri diritti umani. Si parla di verità, di giustizia, di riparazione del danno o delle vittime. Per i diritti del bambino si è aperta una dimensione sempre più conflittuale dei diritti: il fanciullo è un soggetto che si contrappone ad altri soggetti, tra cui anche i genitori e la famiglia.
Al comitato dei diritti dei fanciulli dell’Onu sono presentate sempre relazioni e commenti che dicono che non bisogna violare i diritti dei fanciulli. L’approccio è sempre più conflittuale: così si creano tensioni tra il fanciullo e la famiglia d’appartenenza. Il comitato dei diritti del fanciullo dell’Onu ritiene che i diritti del fanciullo debbano sempre prevalere sul diritto della famiglia. Ad esempio, il diritto del fanciullo ad essere ascoltato deve prevalere su quello della famiglia. Si amplificano, però, le tensioni sul contenuto dei diritti stessi della famiglia e del fanciullo. Certamente, è necessario salvaguardare sia il fanciullo che la famiglia. L’articolo otto della Convenzione lavora proprio su questa salvaguardia. Il tema dell’identità era visto come qualcosa da tutelare: il bambino va tutelato nella sua famiglia. Oggi si tratta di fornire al fanciullo tutte le condizioni per inserirsi nella società. Ad esempio, il diritto alla privacy. I genitori potrebbero anche non essere informati sul diritto alla salute del fanciullo. Oggi l’applicazione normativa è estensiva. Cosa è cambiato sostanzialmente? Si tratta di nuove interpretazioni o di violazioni dei diritti del fanciullo? Il dibattito riguarda il rapporto tra gli Stati e il comitato.
Ad esempio, il diritto alla vita, nell’interpretazione corrente (accettato da 179 Stati), riguarda il fanciullo nato: è venuto meno qualsiasi riferimento alla vita prenatale e, quindi, anche verso la tutela del non-nato. Non c’è più discussione ma solo quiescenza. Non si dice più che la legge dell’interruzione della gravidanza è in contrasto con la Convenzione sui diritti dei fanciulli.
Il comitato dei diritti del fanciullo ha modificato il quadro interpretativo della Convenzione. Ha aumentato il numero dei membri: attualmente, sono diciotto, con la presenza di medici, pedagogisti e non solo di giuristi. L’analisi è ad ampio spettro. Oggi si punta molto sull’interpretazione specifica di alcuni articoli della Convenzione. Nessuno può interpretare la Convenzione se non il comitato. Quindi, gli Stati sono soggetti all’interpretazione del comitato. Si va affermando l’interpretazione generale di un articolo, seguono le applicazioni concrete e particolari. Ad esempio, il tema dell’educazione. È un diritto in sé e si estende a tutti gli ambiti della vita del bambino. Riguarda pure la scelta da parte dei genitori della scuola, della formazione religiosa, culturale, etc… Il conflitto è forte: può il bambino decidere da solo? La Convenzione ha ormai un’adesione universale, mancano solo due Paesi: la Somalia e gli Usa che ritengono di avere standard interpretativi superiori al comitato. Il comitato ritiene preminenti i diritti del fanciullo e i diritti in sé. Si fanno delle discussioni generali su singoli temi. Queste discussioni sono apparentemente convocate per approfondimenti. Di fatto, sono modi per raccogliere pareri diversi di forze politiche a volte contrastanti. Il comitato ha modificato l’atteggiamento concettuale sui diritti del fanciullo. Cambiamento concettuale che riguarda, di riflesso, le legislazioni degli Stati.
Per interagire con dati concreti, dall’attività del comitato emergono due grandi limiti alla tutela dei diritti del fanciullo. Il primo dovuto alle norme della Convenzione, il secondo effetto della condotta degli Stati. Il problema è dato dal fatto che la Convenzione è un testo di compromesso tra Stati con sistemi giuridici, economici e sociali diversi e, inoltre, molte delle formulazione mantengono il tono declaratorio che rende di fatto meno obbliganti o più fluide le obbligazioni e il loro adempimento. Ne è un esempio la formula circa l’impegno degli Stati ad adottare le “misure appropriate” che ritroviamo negli art. 2.2, 11 e 19; o espressioni tipo “rispettano” (art. 5), “assicurano” (art. 6), “si adopereranno al massimo” (art. 18), “favoriscono” (art. 11.2). Molti Stati ritengono che gli obblighi di condotta e la messa in atto di tutte le misure che hanno alla base rispettivamente il principio di non discriminazione e il rispetto in buona fede della Convenzione sono da leggere in relazione alle situazioni specifiche, alla disponibilità di risorse, alle esigenze generali. Questo significa che, nonostante gli obblighi della Convenzione, le misure adottate dagli Stati restano insufficienti.
Circa i limiti risultati dal comportamento degli Stati, si ravvisa una fragilità della funzione di controllo da parte del comitato dovuta a una possibilità di controllo soft, alla presentazione tardiva dei rapporti periodici che è sempre più evidente specie per quegli Stati che hanno problemi di tutela dei diritti fondamentali e di quelli del fanciullo in modo speciale. A questo si cerca di ovviare, da parte del comitato, con una procedura extra ordinem che dispone l’esame di un Paese senza rapporto, ma anche in questo caso va valutata l’efficacia del procedimento. Per altri aspetti, è possibile rilevare un mancato rispetto delle osservazioni e delle raccomandazioni fatte dal comitato che è ravvisato negli esami dei rapporti successivi.
Quali sono i principali ambiti di violazione? Si possono così elencare:
– una generale discriminazione e negligenza verso i fanciulli;
– la mancata registrazione delle nascite;
– le punizioni corporali e trattamenti inumani;
– compiti e servizi imposti senza valutare la condizione di fanciullo;
– mutilazioni genitali e matrimoni forzati o precoci;
– sfruttamento economico;
– mancato accesso alle cure mediche;
– discriminazione aggravate verso i fanciulli vulnerabili;
– sfruttamento sessuale e salute riproduttiva;
– mancata riforma della giustizia per i fanciulli.
Violazioni meno evidenti sono l’insufficienza di risorse economiche e umane a vantaggio dei fanciulli, le realtà dei ragazzi di strada e il mancato coordinamento delle politiche e azioni statali. Sono 33 gli Stati che hanno formulato riserve che indeboliscono o limitano la portata delle norme convenzionali. I principali ambiti delle riserve riguardano il riferimento al diritto interno come prevalente rispetto a norme della Convenzione, o l’impossibilità di dare esecuzione a certe sue disposizioni (il caso più evidente è quello delle riserve dei Paesi islamici quanto all’adozione).
Si tratta di una situazione che, se trova fondamento nel diritto internazionale e nella sua pratica, evidenzia come manchino criteri oggettivi sulla cui base valutare il contenuto delle riserve e, quindi, prevale l’apprezzamento sui contenuti della Convenzione fatto dallo Stato riservatario. Tuttavia, seguendo il lavoro del comitato, quello che prevale è un uso delle riserve per giustificare un approccio “relativo” ai diritti contenuti nella Convenzione che porta gli Stati a non sentirsi obbligati dalle disposizioni convenzionali in ragione di un approccio motivato da elementi religiosi o valori tradizionali. Da denunciare, poi, la mancata diffusione della Convenzione. È un rilievo che contraddice la quasi universale adesione alla Convenzione stessa, ma che evidenzia come anche tra chi lavora con i fanciulli ci siano evidenti lacune circa i diritti contenuti nella Convenzione, come pure della sua interpretazione e delle raccomandazioni fatte dal comitato.
4. I bambini “cittadini del mondo”
La mattinata di martedì, 9 febbraio, si è conclusa con una tavola rotonda interessante: Il ruolo delle organizzazioni non governative nel sistema dell’Onu. Sfide e prospettive attuali. Sono stati ascoltati gli interventi di Johan Ketelers, segretario generale dell’International Catholic Migration Commission, la dottoressa Fermina Alvarez, officiale della Segreteria di Stato (su Panoramica delle Ong cattoliche) e il signor Yves-Marie Lanoe, presidente del Bice (Bureau International Catholic de l’Enfance) a proposito de Le Ong cattoliche e la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. A seguito il dibattito.
Nel pomeriggio di martedì, il giurista Francesco D’Agostino, professore ordinario di Filosofia del Diritto presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, ha presentato una riflessione storico-filosofica sui diritti dei genitori e dei bambini.
La grande Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo fu approvata dopo aver registrato il fallimento di tutti i tentativi di far adottare dall’Onu una carta dei diritti della famiglia. La reticenza dell’Onu a compromettersi sul tema della famiglia ci consente di comprendere la fragilità dei fondamenti su cui è stata poi formata l’attuale Convenzione. L’appartenenza dei bambini a una comunità familiare, infatti, non costituisce una loro esigenza psicologica o sociale, ma determina l’unica possibile modalità per trasmettere l’identità umana nell’ordine delle generazioni. La prova è data dal fatto che la crisi della famiglia tradizionale non produce la sua metamorfosi, cioè forme innovative di vincoli intergenerazionali, ma piuttosto il suo appassirsi e incrinarsi. Se l’aborto è potuto diventare in Occidente una pratica di massa, è probabilmente anche per l’indifferenza (autentica o indotta) dei padri, divenuti incapaci di percepire come familiare la dinamica generativa. I bambini sono, per riprendere un’espressione kantiana, cittadini del mondo: ma il mondo si ostina a non riconoscere che solo nel contesto di una famiglia eterosessuale essi possono, dopo essere venuti al mondo, godere della pienezza dei loro diritti. La modernità implica la sua attenzione nei confronti dei bambini e continua a fantasticare su irreali alternative alla comunità familiare. Il nostro dovere è quello di farle aprire gli occhi: i diritti dei bambini e i diritti della famiglia sono assolutamente coincidenti.
Per il professore D’Agostino, da una parte, la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo è un documento prezioso, importante; però, dall’altra, è piena di paradossi ed è inadeguata: perché mentre riconosce ai fanciulli una serie di spettanze inderogabili, appare elusiva proprio sul punto fondamentale dal quale tutte le spettanze provengono e nel quale tutte le spettanze si radicano: quello del vincolo familiare, come costitutivo dell’identità stessa del fanciullo. La famiglia è il punto di raccordo – d’interscambio – tra natura e cultura: solo le persone umane possono generare e assumere un ruolo sociale per i propri figli. Diversamente, saremmo come gli animali che si riproducono. Le diverse forme giuridiche assunte dalla famiglia nei secoli sono estremamente diversificate, ma rispondono tutte a queste esigenze strutturali, senza delle quali l’identità umana non sarebbe qualificabile e nemmeno distinguibile dall’animale. Procreare al di fuori del matrimonio è una banalità biologica, ma è anche un rilevante problema antropologico, perché non è la biologia, ma è il diritto a qualificare l’identità del nato.
Nessuno più di I. Kant lo ha affermato: i genitori non si limitano a generare un “essere nel mondo” (weltwesen), bensì un “cittadino del mondo” (weltbürger). I bambini, allora, sono più che persone. Sono “cittadini del mondo” e non si qualificano semplicemente per le loro capacità, ad esempio per la razionalità, ma per la titolarità di un diritto originario e innovativo (non ereditario) di ricevere cure da parte dei genitori. Per Kant, i genitori, mettendo al mondo un figlio, devono essere consapevoli che non introducono nel mondo un essere biologico, ma un essere dotato di libertà. Per questo la generazione umana non è assimilabile alla produzione di un artefatto, per questo i genitori non possono distruggere il generato o abbandonarlo al caso. La prospettiva kantiana permette di recuperare la dimensione naturale della famiglia che il soggettivismo moderno vuole eliminare o sottacere. La naturalità della famiglia è da recuperare in un contesto di relativismo esasperante come quello praticato oggi. Si vive, oramai, una scissione tra natura e storia che tocca anche la famiglia e, quindi, di riflesso, i diritti individuali e relazionali del bambino. È stata poi travisata la concezione dell’emancipazione femminile e assecondata in tutto la rivoluzione sessuale.
In ultimo, ma non meno importante, è la scissione tuttora in atto tra la famiglia e la generatività naturale. L’adozione non ha avuto mai la pretesa, come oggi, di sostituire la generatività naturale o di porsi sul medesimo piano di quella. Non solo la generatività naturale è distinta dalla generatività sociale, ma questa è predisposta a quella, come umanamente più degna, perché fondata non sulla biologia ma sulla volontà.
Altro elemento su cui riflettere è il successo riscosso dal fenomeno polyamory. Si accusa il cristianesimo di aver imposto, attraverso il diritto, a tutta l’umanità, vincoli monistici soffocanti, quali la monogamia eterosessuale, la fedeltà coniugale, rapporti generazionali rigidamente formalizzati. Si vuole, quindi, ritornare alle origini, alla soddisfazione istantanea dei desideri, a relazioni sessuali liberate dall’assillo della riproduzione. Si deve far spazio al poliamore, smascherando le nuove mitizzazioni della poliginia e della poliandria e trascendendo i vincoli della dicotomia sessuale. L’attuale società lascia spazio aperto per la polifamiglia, rendendo possibile ai singoli l’appartenenza contemporanea a più gruppi familiari (da qui i matrimoni di gruppi), nonché per la polifedeltà. Si accentua sempre di più la separazione tra sessualità e riproduzione, affidando quest’ultima alla tecnologia, e consentendo in tal modo alla prima di espandersi liberamente nell’universo del piacere, abolendo la distinzione tra i sessi e operando per la realizzazione di un ermafroditismo universale. Inoltre, il matrimonio è sostenuto come istituto contrattualmente provvisorio. Da qui la crisi della famiglia e la fine di ogni rispetto dei diritti dell’infanzia!
5. Il diritto all’identità e alla relazionalità: aspetti sociali e psico-pedagogici della famiglia
L’ultima parte dell’assemblea plenaria si è svolta nella mattinata di mercoledì 10 febbraio con una tavola rotonda interdisciplinare a proposito dei Rapporti famiglia-bambino da un punto di vista psicologico (con la relazione della professoressa Rosa Rosnati, membro associato di Psicologia sociale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e la relazione di monsignor Tony Anatrella, psicanalista, a proposito de L’adozione dei bambini da parte di persone omossessuali), nonché sociologico – con la relazione del prof. Sergio Belardinelli, ordinario di Sociologia dei processi culturali all’Università di Bologna – e pedagogico (con la relazione del professore Lorenzo Macario, docente di Metodologia pedagogica evolutiva e di Pedagogia familiare all’Università Salesiana di Roma).
Dal punto di vista pedagogico, sono stati citati i seguenti diritti dei bambini: alla sicurezza e alla protezione (con dieci modalità espressive), il diritto di essere gratificati (con cinque modalità espressive), il diritto di sentirsi soddisfatti, di ricevere ammirazione, di sperimentare che il genitore è presente con il cuore, il diritto di sentirsi importanti, il diritto di sentirsi accettati, il diritto alla presenza dei due genitori.
Stimolante e di grande attualità la riflessione in ambito psicologico a proposito delle adozioni dei bambini da parte di coppie omosessuali. Si è rilevato che l’interesse del bambino è d’essere nelle stesse condizioni dei genitori. La crisi è a livello antropologico: oggi la società occidentale, soprattutto quella europea, considera in modo assoluto e totalizzante la teoria del genere. Si afferma, infatti, che la società non deve più dipendere dalla differenza sessuale inscritta nei corpi ma dalla differenza della sessualità come orientamento sessuale, dando ampio spazio alle pulsioni, alle sensazioni ed emozioni del momento. È chiaro che una pulsione o una preferenza sessuale non può determinare la nostra vera identità. Il bambino proviene dall’unione dell’uomo e della donna e, di questo fatto oggettivo, occorre tessere la relazione educativa.
L’identità è il frutto di un costrutto, di legami, di un processo di relazioni. C’è una sorta d’ideologia in quanti affermano che i bambini cresciuti da coppie omosessuali non hanno riportato traumi particolari e che, addirittura, sarebbero più forti verso la società, mostrando una capacità di adeguamento superiore a quella dei bambini con genitori eterosessuali. In realtà, per questi casi, si assiste a un processo di disarmonia e di confusione psicologica nel bambino stesso. Si ha una vera e propria rottura dell’unità psichica. La vera condizione del genitore, di cui ha bisogno il bambino, è quella relazione che si stabilisce tra un padre e una madre. Spesso, anche la legislazione degli Stati a favore delle adozioni da parte di single o di coppie omosessuali non fa altro che sostenere una finzione giuridica di genitorialità. Nel nome della non-discriminazione basata sull’orientamento sessuale, si pretende – senza altri elementi di riflessione – che quale sia la condizione di un uomo o di una donna, sarà comunque adeguata per adottare un bambino. Ciò è in contrasto con i diritti dei bambini che hanno la precedenza sui diritti delle coppie e dei single.
Il diritto ad essere figli è strettamente legato al diritto alla paternità e alla maternità e non può essere soffocato da un diritto ambiguo alla genitorialità fondato sul primato dell’in-distinzione sessuale. Occorre ritornare a riflettere non sugli orientamenti sessuali (i desideri, le emozioni, le volontà), bensì sullo stato originario e naturale della sessualità. L’omosessualità sarà un’alternativa all’eterosessualità allorquando tale condizione dipenderà da un’identificazione parziale fondata su un conflitto psichico e nel momento in cui si riconoscerà che l’eterosessualità è una condizione che s’articola giustamente sull’identità di maschio o di femmina.
La confusione dei principi etici circa l’identità di maschio e femmina riflette la fragilità affettiva dei nostri tempi. È sorprendente notare che più la differenza sessuale è negata e più il discorso sociale fa l’elogio della diversità. Due persone del medesimo sesso formano una monosessualità in cui l’alterità sessuale e la coppia generazionale sono assenti. Esse non formano una coppia propriamente detta, perché non c’è alterità, né complementarietà, né costituiscono una famiglia in quanto il bambino non è il frutto – o il risultato – dell’unione di due persone dello stesso sesso. Per elaborare le diverse tappe della differenziazione sessuale, il bambino ha bisogno del padre e della madre. Dunque, la società e lo Stato – con leggi ben precise – devono tutelare questo diritto dei bambini. Così, il significato di coppia e di famiglia è inapplicabile – già in ambito epistemologico – all’omosessualità. La teoria del genere non fa altro che minimizzare il significato della differenza sessuale dal punto di vista sociale. La non-differenza sessuale, come l’omosessualità, non può in alcun modo ispirare delle leggi in materia coniugale e familiare, a meno che non si vogliano favorire, in futuro, delle confusioni identitarie e delle personalità a carattere psicotico. Una società che non ha più il senso della differenza sessuale, smarrisce completamente il valore dell’alterità, della verità e della realtà delle cose.
Negando la differenza dei sessi e compiacendosi dell’immaturità affettiva di chi ribadisce l’in-distinzione sessuale, si va verso una società che perde ogni capacità di discernimento critico, di razionalità e di relazionalità. La vita comincia a motivo dell’incontro di un uomo e di una donna. La loro relazione è il simbolo dell’apertura all’altro, alla generazione e alla vita. Apertura di cui la società ha bisogno per assicurare il vivere insieme e il rispetto del bene comune. Deve essere chiaro: il bambino si differenzia grazie a suo padre e a sua madre. L’unisessualità degli adulti introduce in un sistema malato di relazioni ove non c’è alterità e mutila il bambino di numerose dimensioni del reale. L’accettazione, per esempio, della differenza sessuale è uno dei primi limiti che il bambino incontra attraverso i suoi genitori. È inscritta nel corpo. Ricondurre la genitorialità al desiderio, significa far credere al bambino che i suoi bisogni possono essere illimitati. La riconoscenza della differenza sessuale da parte del bambino favorisce il processo di crescita intellettiva, di concettualizzazione, di relazione con la realtà. Diversamente, si mette in pericolo la sua stessa filiazione.
Nell’identità è racchiusa la relazione familiare d’origine. Questa relazione familiare è fatta di affetto, di cultura, di riti, di costumi, tradizioni, abitudini, stili di vita. L’appartenenza alla stirpe familiare è la matrice da cui partire per definire la propria identità e ogni altra relazione. L’identità è la costruzione dinamica dell’unità della coscienza di sé attraverso relazioni intersoggettive. È un processo attivo, affettivo e cognitivo della rappresentazione del sé nel proprio ambiente associato a un sentimento soggettivo della propria continuità. Caratteristiche dell’identità sono la continuità, l’istintività e la relazionalità. La costruzione della propria identità è un processo che attraversa tutta l’esistenza e non avviene nel vuoto, non è un’impresa solitaria, ma si realizza all’interno di un’intricata rete relazionale, composta in primo luogo dalle figure genitoriali, e poi dalle altre figure significative. Il diritto all’identità dei fanciulli – dei figli – è da ricondurre nell’ambito delle relazioni parentali e familiari.
Il rapporto con la famiglia d’origine è essenziale anche per la sopravvivenza psichica del soggetto. Spesso, per un bambino, l’assenza di legami affettivi con la famiglia d’origine provoca un disinteresse per il mondo esterno e può condurre anche alla morte. I bambini stabiliscono una relazione elettiva (fase di attaccamento) con le persone che dispensano loro calore e affetto. Pur superando una visione determinista dello sviluppo psicologico del bambino, in quanto il soggetto trova sempre nuove occasioni di crescita e di maturità – come ad esempio nella relazione e nel legame di coppia –, l’esperienza fontale (il codice materno e paterno) è orientativo per tutto l’arco dell’esistenza. Così, un figlio, per crescere, ha bisogno di un padre e di una madre. Nell’educazione dei bambini, oggi, è recuperata abbastanza la dimensione affettiva e trascurata, invece, la dimensione etica. È in gioco l’idea stessa di una direzione nella crescita: aiutare a decidere, a scegliere il bene, a sostenere comportamenti giusti. Si nota anche l’assenza della figura paterna. Il figlio non deve essere il prolungamento della coppia, bensì il frutto della loro progettualità (l’altro da sé).
Non facciamoci illusioni: non è vero che quanto più cresce il desiderio di avere un bambino tanto più il fanciullo è accolto bene e sono garantite per lui tutte le condizioni di sviluppo. Occorre conoscere la qualità e l’intensità del desiderio ma soprattutto vigilare sul fatto che il fanciullo sia riconosciuto per se stesso. Più che frutto dell’onnipotenza dei desideri, o il bisogno di risolvere il problema dell’infertilità, la filiazione è un atto d’amore, un frutto della vita. Per questo, il termine bambino appare abbastanza astratto e impersonale: non esistono i bambini, bensì i “figli di”. Essere figlio significa riconoscere un legame d’origine, una relazione da cui si proviene e dalla quale partire per creare altri nuovi legami. Potremmo dire non solo “figli di quella famiglia”, ma anche “di quella comunità” composta da quegli adulti che ne accompagnano quotidianamente il percorso di crescita.
6. Alcuni rilievi conclusivi
Le osservazioni conclusive dell’assemblea sono state affidate al cardinale Ennio Antonelli che ha presentato delle annotazioni ben precise. La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989 riconosce ai minori importanti diritti riguardanti l’adozione, le cure sanitarie, l’educazione, la tutela dei disabili, la protezione contro la violenza, contro l’abbandono, lo sfruttamento sessuale e lavorativo. Occorre che la coscienza civile condanni senza esitazioni e ambiguità le numerosissime violazioni dei diritti dei minori che continuano a commettersi nel mondo. La Convenzione riconosce, nel preambolo, che il fanciullo ha diritto a una protezione e a cure particolari “sia prima che dopo la nascita”. L’aborto contraddice il valore della persona e della vita che sta alla base di questa affermazione. Non è sufficiente condannare le violazioni dei diritti, occorre vigilare e operare per prevenirle. Oggi, pericolose ideologie influenzano l’interpretazione della Convenzione del 1989, portandola in più punti ad assumere significati in contrasto con i valori ispiratori originari.
Le puntualizzazioni del cardinale Ennio Antonelli, anche se ancora non consegnate alla stampa per una dichiarazione definitiva, si possono così sintetizzare:
– Il diritto ad avere una famiglia è contenuto nel preambolo della Convenzione al paragrafo quinto, dove si raccomanda che la famiglia, “quale nucleo fondamentale della società” e “ambiente naturale” per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri, e in particolare dei fanciulli, debba ricevere l’assistenza e la protezione necessarie per poter assumere pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità.
– I diritti dei bambini non sono separabili dai diritti della famiglia.
– Il bambino ha diritto ad avere un padre e una madre, perché essi oggettivamente sono un grande bene per lui.
– Il bambino ha diritto a crescere insieme al padre e alla madre, a essere amato ed educato da loro.
– Il bambino ha diritto a relazionarsi, fin dalla primissima infanzia, con due persone di sesso diverso, per potersi costruire una chiara e solida identità, una personalità definita.
– Il bambino ha diritto ad essere aiutato ad acquistare autostima, fiducia, sicurezza, senso della realtà e del limite, armonia psichica, maturità progressiva.
– Il bambino, in caso di adozione, ha diritto ad essere affidato, per quanto è possibile, a una coppia formata da un uomo e una donna, uniti in matrimonio, che dia sufficienti garanzie di armonia e di stabilità.
– Altro è essere padre e madre, altro è fare da padre e da madre; altro è svolgere qualche funzione genitoriale.
– L’unità e la coerenza psicofisica del bambino sono un bene da tutelare e sviluppare con una corretta educazione.
– Non è accettabile un’educazione dei bambini che miri intenzionalmente a costruire personalità omosessuali o incerte e confuse.
– L’omosessualità non può essere presentata agli adolescenti e ai bambini come un ideale alternativo; altro è, invece, insegnare il doveroso rispetto verso tutti. Ciò vale anche per le persone omosessuali.
– Non ogni desiderio è un diritto; non i desideri, ma i beni oggettivi devono essere posti a fondamento della legge.
– La coppia uomo-donna, unita in matrimonio e aperta ai figli, è un fatto di interesse pubblico; l’unione di due persone omosessuali è un fatto privato e non costituisce una coppia.
– Voler istituzionalizzare una forma di affettività, solo perché si tratta di un sentimento, è come voler istituzionalizzare un rapporto tra amici.
– Ingiustizia è trattare cose diverse allo stesso modo. Così, altro è istituire una coppia, altro è provvedere a bisogni e diritti individuali.
– Appare paradossale esaltare il pluralismo e le diversità culturali e, nello stesso tempo, minimizzare le differenze umane fondamentali, quella dei sessi uomo-donna e quella delle generazioni genitori-figli, in nome dell’uguaglianza e della non discriminazione.
– L’amore crea unità nel rispetto dell’alterità, armonizza e valorizza le differenze, a cominciare da quelle dei sessi e delle generazioni.
– Destabilizzare il matrimonio e la famiglia è accrescere l’individualismo e la conflittualità, compromette la coesione, lo sviluppo e il futuro della società.
– Le ideologie che approvano relazioni sessuali fuori del matrimonio indissolubile tra un uomo e una donna sono in evidente contrasto con la Parola di Dio (cf. Mt 5,27.31-32; 15,19; 19,3-9; Mc 7,21; 10,2-12; Lc 16,18; Rm 1,24-32; 1Cor 6,9.15-20; 7,10; Gal 5,19; 1Ts 4,3-8).
Appare chiaro, dunque, dai lunghi dibattiti dell’assemblea plenaria, che il contributo specifico della Chiesa cattolica in ambito familiare e circa la discussione sui diritti dei fanciulli, consiste nel ricondurre l’identità, la dignità e la capacità relazionale dei bambini all’interno della progettualità familiare. Di là dei singoli diritti, sui quali è possibile evidenziare diversi aspetti, nonché risorse e limiti, resta determinante l’approccio sacramentale – quindi teologico ed ecclesiologico – e necessario il richiamo alla legge naturale (all’etica): l’identità di un bambino è sempre e innanzitutto un’identità filiale.
P. Edoardo Scognamiglio, Ofm Conv.
Ministro Provinciale dei Frati Minori Conventuali di Napoli, Docente di Teologia dogmatica presso la PFTIM di Napoli e di Dialogo interreligioso alla PUU (Città del Vaticano), Consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia
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